Da qualche tempo sto leggendo documenti, saggi e analisi sull’Intelligenza Artificiale. Nel farlo, ho sentito l’esigenza di mettere ordine ad alcune considerazioni che mi accompagnano da un po’. Questo articolo è, in fondo, un modo per fare il punto su ciò che penso dell’AI oggi.
Che l’Intelligenza Artificiale sia ormai parte della nostra quotidianità è un dato di fatto. Tuttavia, a mio avviso esistono due dimensioni dell’AI che spesso vengono confuse, ma che sarebbe importante distinguere.
1. L’AI come strumento utile all’essere umano
La prima dimensione è quella dell’AI intesa come mezzo: uno strumento capace di amplificare le nostre capacità, supportare decisioni complesse, velocizzare analisi, ridurre errori.
Un’AI che, se usata in modo consapevole e ponderato, rappresenta un aiuto concreto per il genere umano.
È l’AI della ricerca, della medicina, dell’industria, della produttività, quella che lavora dietro le quinte senza attirare l’attenzione su di sé.
2. L’AI commerciale: quella che vuole piacerci
La seconda dimensione è molto diversa: è l’AI costruita per essere venduta.
È l’AI dei chatbot che conversano come esseri umani, che modulano il tono, che si mostrano empatici, amichevoli, rassicuranti.
Un’AI progettata per piacere, per conquistare, per farci tornare.
Molti studiosi hanno dimostrato come questi sistemi siano modellati per generare coinvolgimento emotivo. La loro “umanità” non è un’emergenza spontanea: è una strategia di design.
Ed è qui che, a mio avviso, risiede il lato oscuro.
La trappola della gratificazione: quando l’AI diventa una camera dell’eco
Il rischio è sottile, ma concreto. All’inizio ci rivolgiamo all’AI per ottenere informazioni o piccoli aiuti. Poi iniziano a delegarle parti di lavoro.
Poi ancora le chiediamo di pianificare viaggi, di organizzare attività, di darci consigli personali.
A quel punto l’AI diventa un interlocutore sempre presente, sempre disponibile, sempre accomodante.
Ed ecco la trappola: l’AI ci restituisce esattamente ciò che vogliamo sentirci dire. Crea una camera dell’eco artificiale: un ambiente dove abbiamo sempre ragione, dove le nostre idee vengono confermate, dove non esiste contraddizione.
L’utente comincia a percepire l’AI come qualcuno che lo comprende davvero. E, come conseguenza, può scivolare in comportamenti irrazionali: umanizzare l’AI, attribuirle sentimenti, instaurare con essa rapporti che vanno ben oltre il ragionevole, fino a parlare di amore, amicizia, perfino sessualità.
È una deriva pericolosa, perché nasce da un equivoco: credere che dietro una voce o un testo accattivante ci sia un’intenzionalità umana.
La risposta: coltivare la consapevolezza
Come se ne esce?
La chiave, a mio avviso, è una sola: la consapevolezza.
Se l’utente conosce, anche solo a grandi linee, come funziona un modello linguistico (LMM), diventa molto più difficile cadere nella seduzione dell’AI ammiccante.
Capire che:
- le risposte sono generate statisticamente,
- l’empatia è simulata,
- il comportamento “umano” è parte di una strategia commerciale,
- il sistema non “prova” nulla e non può volerci bene,
rende l’interazione più sana e più lucida.
L’AI resta un potente strumento, non un partner emotivo né un’entità superiore da idealizzare.
Ultime riflessioni
L’Intelligenza Artificiale può essere una straordinaria alleata dell’essere umano. Ma può anche diventare, nella sua versione più commercializzata, una fonte di distorsione emotiva e cognitiva.
La differenza non sta nella tecnologia, ma nel nostro atteggiamento verso di essa.
Usarla con consapevolezza significa sfruttarne al massimo le potenzialità senza cadere nella trappola dell’umanizzazione.
Significa ricordare che l’AI non è un soggetto, ma uno strumento avanzato: utile, potente, e talvolta seducente, ma pur sempre uno strumento.
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